Tartarughe Caretta Caretta
Descrizione

La Costa delle Tartarughe
Sono vari e contrastanti i sentimenti che le specie animali suscitano nell’immaginario umano. Tantissime, piccole e poco appariscenti, sono del tutto indifferenti all’opinione pubblica. Molte, ad esempio tra i rettili o gli insetti, provocano paura o repulsione. Alcune, per ragioni simboliche (si pensi alla cicogna) o in virtù del loro aspetto (il panda) o delle loro peculiarità biologiche o comportamentali (l’elefante, i cetacei), mostrano invece un forte valore attrattivo per larghi strati dell’opinione pubblica, tanto da costituire oggi un forte richiamo di un turismo verde legato ad aree protette. È il caso dei grandi mammiferi dei parchi africani o, in Italia, di animali come lo stambecco nel Parco Nazionale del Gran Paradiso o dell’orso e del camoscio nel Parco Nazionale d’Abruzzo.
Gli zoologi le chiamano “specie bandiera” per la grande importanza strategica che hanno nella conservazione della natura, tanto più se per le loro caratteristiche ecologiche svolgono un ruolo chiave negli ecosistemi: la loro tutela implica automaticamente la conservazione di numerose altre specie, a esse direttamente o indirettamente legate, attraverso la salvaguardia di estensioni di habitat e paesaggi naturali.
La tartaruga marina (Caretta caretta) è certamente una specie bandiera. Una misura della sua popolarità è l’elevatissimo numero di pagine Internet a lei dedicate, anche come riflesso dello stato di allarmante declino di molte sue popolazioni. Se si considera, poi, il doppio legame di questo animale con la terraferma (le spiagge) e il mare, nonché varie altre sue peculiarità biologiche, se ne comprende la grande rilevanza naturalistica e le particolari attenzioni conservazionistiche di cui è oggetto.
Caretta è una delle venti specie di vertebrati più rare e minacciate a livello nazionale, pur essendo, tra i Cheloni marini presenti nelle acque italiane (oltre ad essa, anche la tartaruga verde e la tartaruga liuto), ancora la più frequente e anche l’unica nidificante nel nostro paese. Si tratta, in ogni caso, di un animale a rischio di scomparsa in tutto il Mediterraneo e perciò protetto da normative internazionali e comunitarie. I principali siti riproduttivi si rinvengono in Grecia, Turchia, Cipro e Libia, paesi che concentrano da soli oltre il 97% dei circa 7.200 nidi annualmente deposti in Mediterraneo. La Calabria ionica e, in particolare, la parte costiera reggina coincidente con l’area grecanica, è oggi riconosciuta come la principale area di nidificazione della tartaruga marina in Italia. Può a ragione definirsi l’unica “costa delle tartarughe” esistente nel nostro paese. Non è un primato da poco ed è una scoperta recente. Sino alla fine del secolo scorso, infatti, la nidificazione di Caretta in Italia era ritenuta un fenomeno oramai sporadico o occasionale, eccezion fatta per le Isole Pelagie (Linosa e Lampedusa), isole sulle quali la nidificazione della specie risultava segnalata più regolarmente, se pur in numero esiguo di casi (2-3 nidificazioni/anno, nel ventennio 1980-1999).
Questo quadro conoscitivo era, in realtà, il risultato di una carenza di ricerche. Nessuno, ad esempio, aveva mai effettuato monitoraggi mirati lungo le spiagge calabresi, dove (costa ionica centro-meridionale) sino al 1999 risultavano una decina di casi certi di nidificazione, tutti dovuti a rinvenimenti fortuiti di schiuse nel momento di massima frequentazione turistica dei litorali (mese di agosto).
Nella primavera del 2000, il Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Università della Calabria dà avvio a un progetto di ricerca (Progetto “TARTACare Calabria”, con riferimento a Tarta come tartaruga; Care come richiamo al nome scientifico della specie, al plurale femminile dell’aggettivo caro e al verbo inglese “to care”, che significa importare, preoccuparsi) volto ad accertare il quadro distributivo delle nidificazioni di Caretta lungo la Costa Ionica calabrese. Le ricerche dell’UNICAL, autorizzate dalla Direzione Protezione della Natura del Ministero dell’Ambiente e attuate da uno staff di ricercatori esperti (tra gli altri: Salvatore Urso, Teresa Malito, Maria Denaro, Gianni Parise), conducono a risultati oltre ogni previsione. Si scopre, infatti, che “l’ultimo rifugio” della tartaruga marina in Italia non sono le Isole Pelagie, bensì proprio la costa ionica della Calabria, dove il nostro chelone si riproduce ancora regolarmente, e in numero ben più consistente, in particolare lungo il tratto di costa reggina (tratto da Capo Bruzzano a Melito di Porto Salvo).
Certo, non si tratta di centinaia di nidi, come ancora accade sulle spiagge della Grecia, ma “solo” di 15-20 deposizioni a stagione – che costituiscono, a secondo gli anni, dal 60 all’80% di tutti i nidi segnalati in Italia – da cui sono emerse, per raggiungere il mare, oltre 10.000 piccole tartarughe nel periodo 2000-2013. Si aggiunga, che le tartarughe calabresi si sono rivelate essere un “unicum” biologico, poiché mostrano caratteristiche genetiche – evidenziate dagli studi condotti da UNICAL in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata – che le differenziano da tutte le altre popolazioni mediterranee. Il futuro di questa importante area di nidificazione, relitto di una ben più consistente popolazione del passato, è, tuttavia, fortemente a rischio. Le abitudini di vita di questi rettili si scontrano con il crescente uso antropico delle coste e del mare.
La strategia riproduttiva di questo chelone ne è un primo esempio. Nel Mediterraneo il periodo di deposizione inizia a fine maggio e può proseguire fino ad agosto inoltrato, anche se il 50% dei nidi è generalmente deposto tra la metà di giugno e luglio. Una volta deposte le uova in una buca scavata nella sabbia (profonda tra i 30 e i 50 cm), la femmina di tartaruga torna in mare, abbandonando la sua nidiata. Le uova saranno “covate” dal calore della sabbia, per un periodo variabile tra i 45 e i 70 giorni. Alla schiusa, i piccoli risalgono la cavità e, una volta emersi (di norma nelle ore notturne), si dirigono subito verso il mare, dove trascorreranno molti anni (almeno 15-20) prima di tornare, raggiunta l’età adulta, a riprodursi sulle stesse spiagge in cui sono nate.
I rischi cui vanno incontro i nidi sono molteplici, se si considera che il periodo di schiusa coincide in larga misura con il periodo di massimo affollamento turistico delle spiagge: lo spianamento e la pulizia meccanica degli arenili, il passaggio di mezzi fuoristrada possono essere causa di distruzione d’intere nidiate. Così come lo sono le luci artificiali di lungomare, lidi o altro, forse il maggior fattore di rischio. Al momento dell’emersione dal nido, i piccoli di tartaruga sono, in effetti, fortemente attratti da queste luci che li portano a dirigersi nella direzione opposta al mare, ossia verso sicura morte. Si aggiunga che il fenomeno dell’erosione costiera, in buona parte attribuibile all’azione antropica, ha determinato la scomparsa d’interi settori d’arenile potenzialmente idonei alla nidificazione della specie.
La sopravvivenza di Caretta non è solo legata alla fase di vita terrestre, ossia al successo della riproduzione. Le cause del grave declino delle popolazioni mediterranee, complessivamente stimate a circa 3.000 femmine nidificanti, sono da ricercarsi anche nel forte incremento della mortalità nella fase di vita marina. Le cause riguardano il diretto impatto che l’inquinamento marino, lo sviluppo del traffico nautico e, soprattutto, le attività di pesca, hanno su questi animali. Si stima che almeno 60.000 esemplari siano catturati ogni anno nel Mediterraneo e che almeno 20.000 siano quelli vittima delle attività di pesca nei mari italiani. Indagini condotte dall’Università nell’area reggina, evidenziano come la pesca con reti e palangari sia causa di cattura, ferimento o morte di circa 500 esemplari a stagione. Si tratta, oltretutto, di tartarughe nate anche in altre parti del Mediterraneo – forse soprattutto in Grecia – e che ritrovano nelle acque prospicienti la costa calabra importanti zone di alimentazione. Una maturata coscienza del mondo dei pescatori, l’utilizzo di attrezzature da pesca appositamente studiate, potrà – si spera – contribuire a ridurre l’impatto e la morte di molti animali.
È questo uno degli obiettivi che si prefigge l’importante progetto di finanziamento europeo “LIFE Caretta Calabria” LIFE12 NAT/IT/001185, promosso da UNICAL (insieme con altri partner) e recentemente approvato dalla Comunità Europea (European Commission, Directorate – General Environment, ENV.E.3 – Life Nature). Il progetto prevede anche, in quattro anni di lavoro, di attuare azioni di riqualificazione ambientale (bonifica degli arenili, restauro delle dune, contrasto all’erosione costiera, mitigazione inquinamento luminoso), tramiti di una valorizzazione paesaggistica, e relativo incremento di attrazione turistica, della Costa dei Gelsomini.
Tutelare la tartaruga marina significa, in effetti, tutelare il mare e le spiagge dal degrado. La nidificazione di questo straordinario animale non è incompatibile con una frequentazione turistica rispettosa degli arenili. È però necessario che si comprenda che le spiagge non sono solo una distesa di sabbia, da spianare come si vuole, ma uno straordinario e delicato ecosistema naturale.
La speranza è che la Costa Jonica reggina possa diventare davvero la “Costa delle tartarughe”, unica nel suo genere in Italia, nel segno di un maturato impegno delle amministrazioni e di tutti i cittadini per il rispetto e la tutela di questi straordinari animali e dell’ambiente in cui si riproducono. Allora, la nostra tartaruga potrebbe veramente diventare un richiamo forte (il “valore aggiunto”) per uno sviluppo turistico di quest’area costiera, basato sulla salvaguardia e la fruizione intelligente delle sue peculiari risorse naturali.
Fonte: Pucambù – Guida al Turismo Sostenibile nella Calabria Greca
Prof. Antonio T. Mingozzi, Responsabile Progetto TARTACare Calabria, DiBEST, Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra, Università della Calabria, Rende (CS)
Scarica qui l’opuscolo Life Caretta Calabria