Strumenti Musicali nella Calabria Greca
Descrizione

I Cerameddhe Zampogna
“Smìngondo sto choro ti vvradìa to glicìo tragùdi to ppuddhìo, i melodia ftinì ti cceramèddha, cheretònda tin imèra; annapèondo i spichè ande ppricàde, ande ccurasìe …”
Si uniscono nel ballo della sera il dolce canto degli uccelli, la melodia suadente di una zampogna, salutando il giorno; dalle amarezze e dagli affanni si riprendono gli animi …”
Choro ti vvradìa Danza della sera da Spichì sto monostròfiddho di Salvino Nucera
I cerameddhe sono lo strumento principe della musica greco-aspromontana. I vecchi suonatori di cerameddhe affermavano che prima di imparare a suonarle bene, ci si doveva esercitare a lungo con i sulàvria. Solo chi imparava a suonare il doppio flauto, poteva diventare un buon suonatore di cerameddhe.
Nell’area grecanica ne sono presenti due tipi: i ceramedde a paru e i ceramedde a moderna, quest’ultima divenuta interna al patrimonio etno-musicale grecanico, quale elemento di distinzione e di riconoscibilità accanto alla lingua.
La zampogna a paru è caratterizzata, principalmente, dalle due canne di canto di eguale lunghezza. Ha tre bordoni: basso “u zumbacu“, medio “a quarta”, acuto “u cardiddu”, tutti accordati in dominante a distanza di un ottava. La zampogna a paru è presente, non solo nell’area grecanica, ma in tutto l’Aspromonte, in Sicilia Orientale con caratteristiche morfologiche analoghe, e nelle Serre Calabresi con il nome di “terzarola”.
La zampogna a moderna, si distingue, invece, per le due canne di canto di differente lunghezza, cioè, la canna sinistra è più lunga della canna destra. Tale tipo di strumento nasce nell’Ottocento e viene definita a moderna per differenziarla dalla già esistente zampogna a paru; è anche probabile che sia stata così battezzata dai suonatori dell’area della Bovesia (Bova). Anche questa ha tre bordoni: basso “u zumbaco”, medio “a quarta“, acuto “u cardiddu”. L’accordatura cambia a secondo dei paesi. I suonatori di Bova e della vallata dell’Amendolea accordano il bordone basso in tonica, e gli atri bordoni (medio e acuto) in dominante, mentre nei paesi di Staiti, Pressocito, Brancaleone, Razzà di Brancaleone, e anche Cardeto i bordoni sono accordati tutti in dominante come nella zampogna a paru.
Le due zampogne montano ance semplici, in passato anche ance doppie, e il bordone basso “u zumbacu” non è sempre presente, tranne che nella zampogna a moderna della scuola di Bova.
To ascìdi delèghi ton fiso ando cerameddhàro ce fisènete, otu i ceramèddhe crùnnusi.
L’otre raccoglie l’aria soffiata dallo zampognaro e si gonfia, così le ciaramelle suonano.
I modelli di zampogna più antichi censiti, risalgono alla prima metà del secolo scorso, del costruttore Lorenzo Trapani, “u turnaru”, che li costruiva col tornio a pedale nella sua abitazione di campagna in contrada Sporiscena nel comune di Roghùdi. I suoi strumenti, dal punto di vista organologico, sono considerati modelli esemplari ancora oggi non solo per il suono ma anche la loro valenza artistica ed estetica.
Per realizzare l’otre delle cerameddhe viene utilizzata la pelle di una capretta di meno di un anno, mai figliata, in quanto la pelle offre migliori prestazioni ed affidabilità. Per estrarla intera, si ricorre a pastori o macellai esperti, quindi si tosa la peluria, si mette sotto sale per un certo tempo (concia) e poi si rivolta.
Per la parte lignea, il legno più usato e più pregiato si dice sia quello di erica, di ciliegio, di noce e anche quello di gelso nero . Per le ance, durante il periodo primaverile si va alla ricerca di canneti distanti dai corsi d’acqua, cresciuti in terreni asciutti. Lo stesso lo si fa per le canne dei sulàvria.
Registrazione de i Cerameddhe a Paru di Pietro Navella e canto di Mimmo Nucera “Milinari” (Link Audio)
Arganettu Organetto
“I astrofenghìa to seri macrìa to cruma tu organèttu ce tamburèddhu. Ene jiortì, trèchonda cataò, catacì, chorèvji mia spichì…”
“La notte stellata lo porta lontano il suono dell’organetto e del tamburello. È festa, correndo qua e là balla un’anima…”
Chimàrri Festa di paese di Salvino Nucera.
Le testimonianze delle persone anziane concordano nel collocare l’apparizione e l’uso dell’organetto nell’area grecanica solo agli albori del XX secolo. Ebbe facile e rapida diffusione poiché si resero, in fretta, conto che lo strumento non era soggetto ai cambiamenti climatici, alle escursioni termiche giornaliere o stagionali. Inoltre era meno impegnativo nell’uso delle sue funzioni.
L’arganettu in tutta l’area è presente nella versione a due bassi. Maggiormente si è diffuso nei comuni di Cardeto e Gallicianò, dove vi sono straordinari esecutori. Oggi ha quasi sostituito completamente i cerameddhe, anche per la facile gestione e per l’assenza dei problemi d’ accordatura. Lo strumento è utilizzato sia per eseguire musica da ballo sia di accompagnamento al canto.
Oggi, nel territorio, ascoltando i giovani suonatori, si intravedono le influenze stilistiche provenienti dall’area reggina cittadina. Ciò è dovuto alla diffusione della produzione discografica “folk tipo da bancarella” avvenuta negli ultimi anni, che ha comportato un livello di omogeneizzazione e standardizzazione del repertorio e dello stile musicale. La musica e la danza tradizionale sono state, erroneamente, sganciate dagli eventi della vita quotidiana e sono state trasformate, in molti casi, in fenomeno di spettacolarizzazione folkloristica.
Nei paesi dell’area grecanica, comunque, come del resto anche in molti altri paesi della Calabria, lo studio e il suono dell’arganettu rappresenta una meta ambiziosa. La comunità tutta prova un profondo senso di rispetto verso coloro i quali sono diventati bravi sonaturi. Tutto ciò diventa un forte stimolo all’apprendimento e allo studio per i bambini ed i giovani.
Registrazione di Arganettu di Giovanni Zindato di Gallicianò e Tambureddhu (Link Audio)
Tambureddhu Tamburello
Questo strumento appartiene alla famiglia dei tamburi a cornice. In passato veniva costruito utilizzando il cerchio di un setaccio, dove venivano aperte delle finestre per la suddivisione dei cembali. In alcuni casi si facevano dei fori per l’inserzione di campanellini.
La pelle che viene applicata oggi, è quella di capra, ma in passato i suonatori preferivano quella del gatto o addirittura del cane.
U tambureddhu è uno strumento suonato anche dalle donne, ed è utilizzato per l’accompagnamento alla zampogna o all’organetto per musica da ballo.
Sulàvria Fischiotti – Doppio flauto diritto
Jiòmmu me ta sulàvria ce i manat tragudài: mia charapìa!
Lui con gli zufoli e sua madre canta: una delizia!
Uno dei primi strumenti ad avvicinare alla musica greco-aspromontana sono i sulàvria, in dialetto fischiotti. Sono presenti, in quest’area, nella versione detta a paru in due modelli che si differenziano dal numero di fori presenti nella canna sinistra chiamata “u masculu”.
Il primo tipo a paru è un doppio flauto a imboccatura zeppata diritto, con canne di eguale lunghezza, fori paralleli, canna destra “a fimmina” con 4 fori anteriori e 1 foro posteriore, canna sinistra “ u masculu” con 3 fori anteriori;
Il secondo tipo a paru è un doppio flauto a imboccatura zeppata diritto, con canne di eguale lunghezza, fori paralleli, canna destra con 4 fori anteriori e un foro posteriore, canna sinistra con 2 fori anteriori.
Anche in altre aree dell’Aspromonte e delle Serre Calabresi, troviamo modelli di doppio flauto che vengono chiamati a paru, ma con caratteristiche ben diverse.
Il doppio flauto è sempre stato legato alla vita pastorale. E’ uno strumento che suscita ancora grande fascino; è facilmente trasportabile, anche se oggi sono pochissimi a suonarlo e altrettanto pochissimi quelli in grado di costruirlo.
Registrazione dei Sulàvria (Link Audio)
Sulavvròta Fischiettara – Flauto stagionato di corteccia
La sulavvròta è un flauto ricavato dalla corteccia fresca di un giovane pollone di castagno. Il periodo migliore per l’estrazione della corteccia è in primavera, ed è uno strumento di breve durata. Il pollone è particolarmente adatto perché è caratterizzato da un notevole sviluppo in altezza e spesso presenta un lungo tratto del fusto privo di diramazioni. La zeppa viene ricavata da un segmento dell’anima di legno estratta dalla corteccia stessa. Lungo il tubo sonoro non vi sono presenti fori digitali.
La sulavvròta ancor oggi viene suonata è costruita dai pastori, il suono si ottiene mediante armonici, cambiando la pressione del fiato mediante insufflazione, e aprendo e chiudendo alternativamente con il polpastrello del dito indice, l’unico foro terminale.
Registrazione della Sulavvròta (Link Audio)
Fonte
Booklet Collana Editoriale del Parco Culturale della Calabria Greca – Sezione Musica e Danza. A cura di Domenico Morello, Salvino Nucera, Francesca Prestia.