Scheda Tecnica
Percorso di trekking ad anello, tra siti d’interesse storico-culturale e panoramico, della collina Fossatese.
Territorio
Fossato Ionico fu comune con il nome di Fossato di Calabria dal 1805 (Editto di Napoleone Bonaparte) fino al 1890, alternativamente con Montebello fino al Regio Decreto di Umberto I° che il 7 aprile 1890, a richiesta degli amministratori locali con atto deliberativo del Consiglio Comunale, definitivamente cambiò il nome di Fossato di Calabria Ultra in Montebello. Si trova in una valle dei contrafforti meridionali dell’Aspromonte a un’altezza sul livello del mare che va dai 600 ai 650 metri. Dista da Reggio Calabria 41 km.
Le origini dell’abitato di Fossato, purtroppo, non è possibile documentarle. II primi documenti ufficiali che menzionano il paese risalgono alle carte del catasto onciario del 1740. Si tratta di un censimento dei beni (dall’unità di misura, l’oncia, uguale a 3 carlini) introdotto nel Regno di Napoli da Carlo di Borbone, basato sulla famiglia considerata come unità contributiva. Questi documenti rappresentano una valida fonte per ricostruire la storia delle popolazioni e dei luoghi dell’Italia Meridionale. Da ricerche storiche sui dati del censimento, condotte da Domenico Sclapari, si rileva che già nel XVII secolo in Fossato si erano stabiliti parecchi nuclei familiari (fuochi) in maggior parte dediti alla pastorizia e all’allevamento del baco da seta. Dalla stessa fonte storica si accerta l’intensa coltivazione della vite e del gelso, e che i grossi proprietari avevano alle dipendenze come fattori parecchi massari, a loro volta proprietari di armenti. In seguito i documenti storici diventano sempre più numerosi e ricchi di notizie. Con gli anni, l’evoluzione della popolazione residente rende necessaria la fondazione della prima parrocchia dedicata alla Madonna del Buon Consiglio, avvenuta nel 1772 con bolla arcivescovile di Sua Eccellenza Monsignor Capobianco in data 29 novembre 1772. Fino a quell’anno la chiesa dittereale (da deuteros, secondo) esistente faceva parte della parrocchia di San Leonardo di Montebello.
Percorso
Raduno dei partecipanti in Piazza Municipio di Fossato Ionico – visita del Centro Storico, tempo massimo 45 minuti.
Inizio passeggiata trekking. Si sale attraverso il Centro storico verso la località “Livitu” lungo la strada che fiancheggia il Torrente Rahale, All’altezza del ponte che collega il paese al Cimitero, si abbandona la strada asfaltata e si prosegue su strada sterrata sul greto sinistro del Torrente. La strada sterrata prosegue in leggera salita e all’altezza della seconda briglia di Capani (nei pressi qualche anno fa è stato rinvenuto, mentre si arava un terreno, un osso fossile probabilmente umano di età sconosciuta ), sulla destra si intravedono i ruderi di una vecchia “carcara” dove fino agli anni ’50 venivano bruciate le pietre calcaree portate a valle dal torrente durante le alluvioni e raccolte dai “carcaroti”.
La pietra caggina è una pietra giallastra porosa, senza forma particolare. Cessato appena il mal tempo, intere famiglie erano impegnate sul greto dei torrenti a raccogliere quelle pietre accantonandole a mucchi che poi trasportavano a dorso d’asino, nelle vicinanze delle carcare. Queste pietre frammiste a (almeno cento fasci) fascine di ginestra e di varie stoppie, per la facilità di sistemazione, venivano stipate nella cella di combustione, dall’alto in basso.
Certamente erano gli specialisti a far questo lavoro. S’impiegavano alcuni giorni per carricari a carcara, poi si dava fuoco, dal basso verso l’alto. Naturalmente, sia in estate che in inverno, il fumo violaceo e l’odore acre della pietra bruciata, per molti giorni, si espandeva per le vallate. Quando il pietrame era cotto, e rimanevano solamente ciottoli di varie misure di calce, si doveva provvedere a “scaricare” o “spundacari” la calce viva. La sera prima, quest’operazione veniva annunciata con insistenza dai bbandiaturi, (banditori) portando a conoscenza dei compratori che a carcara di questo o quel proprietario stava per essere scaricata. E ci si presentava con i mezzi di trasporto dell’epoca: asini, muli, donne di fatica munite di particolari contenitori di vimini e canne intrecciate che si chiamavano: cufinedhi i lajnu. La calce viva era scelta di prima qualità, quelle pietre che erano state cotte ma restavano ancora intere, di seconda quelle di dimensioni più piccole e di terza la rimanenza quasi granulare.
Alcuni, per esser certi di potere scegliere “la prima qualità” utilizzate per gli intonaci, giungevano molto prima dell’alba. Quando ogni compratore aveva trasportato nella sua proprietà la quantità di calce che gli occorreva scavava nel terreno una fossa di circa 3 metri di lunghezza per 2 di larghezza e almeno 1 di profondità (a seconda della quantità di calce viva che aveva comprato. Sul bordo costruiva una specie di vasca con delle tavole di forma quadrangolare, con un lato più stretto su cui veniva posta una paratia mobile. Si riempiva questa vasca con la calce viva e piano piano e con molta attenzione si idratava con quantità d’acqua di volta in volta più abbondanti. Al contatto con l’acqua la pietra iniziava immediatamente a sfridere, a friggere e a trasformarsi in una pasta giallo-biancastra piuttosto melmosa, che depositava sul fondo, veniva rimescolata di continuo con una zappa dal manico molto lungo in modo che prendesse tutta l’acqua. Il contatto tra acqua e pietra (idratazione della calce) sprigionava vapori roventi ed il sprigionato era pericoloso per cui si doveva prestare tanta attenzione a non bruciarsi e a non respirare, ci si proteggeva le vie respiratorie con un pezzo di stoffa sempre imbevuto d’acqua. Alla fine dell’operazione, sul lato più piccolo, sporgente sul limite della fossa in terra, veniva sollevata la paratoia mobile e il liquido vi confluiva dentro. Una volta evaporata l’acqua la calce si addensava e e diveniva “calce spenta”.
Non risulta che, persone di saggia operosità, abbiano avuto conseguenze per la salute, salvo scottature di poco conto agli arti superiori e inferiori per l’eccessiva vicinanza alla reazione tra l’acqua e la pietra caggina.
Si prosegue in direzione Nord costeggiando sempre la sponda sinistra del Rahale.
Si sale lungo i tornanti fino a raggiungere il piano di una vasta terrazza libera da vegetazione di alto fusto dove si possono vedere i resti di un’antica “aria”, aia dove si trebbiava il grano. Si attraversa e si raggiunge la strada che porta al “Taglio di Martino, posto sullo scrinale spartiacque con la località “Paludi“. La vista spazia verso la marina sul Torrente S. Elia e verso la vallata del Tuccio con sullo sfondo i ricchi uliveti di Fossato.
Si raggiunge la località “Crivini”, luogo sabbioso, ricco di giacimenti di conchiglie fossili e di pinnacoli di rocce calcaree. La mulattiera che portava su dal Torrente Rahale era molto tortuosa e ripida.
Un antico detto fossatese definiva una persona complicata nei ragionamenti con il seguente detto: <Mi pari chi ssì drittu comu a ‘nchianata i Crivini>.
In leggera discesa verso il pianoro di San Giovanni che sovrasta la Frazione Mulino i ruderi della Chiesa e del monastero annesso rendono l’idea della grandiosità della costruzione andata persa nel corso degli anni. La chiesa a navata centrale di circa 20 metri di lunghezza per 10 di larghezza ed un monastero annesso che ospitava una ventina di monaci basiliani, aveva l’abside orientata verso Est, come la tradizione e la fede bizantina tramandava. (da Est, infatti veniva il cristianesimo portato in occidente dai discepoli di Gesù Cristo).
I terremoti del 1683 prima e del 1783 dopo distrussero completamente la costruzione e l’asportazione continua di pietrame da parte dei contadini per la costruzione di muri a secco (armacere). Ora si può vedere solo un angolo del muro maestro sul lato Sud/Ovest della chiesa. Lasciato il pianoro di San Giovanni si prosegue verso Nord. Dopo circa un km di ascesa si raggiunge il vivaio della con una varietà di piantine di alto fusto che serviranno alla impiantumazione e al rimboschimento delle nostre montagne.
Nell’immediato dopo guerra fu costituito il Consorzio di Bonifica, una grossa boccata di ossigeno per l’economia fossatese. L’impegno dei politici locali e nazionali, a dire il vero di qualsiasi colore essi fossero, e l’intervento di Don Angelo Meduri, giovane parroco attraverso i suoi agganci di “Curia” venne istituito il Consorzio anche a Fossato. Negli anni d’oro (1950/1960) circa 180 fossatesi trovarono lavoro stagionale e a tempo indeterminato. Un flusso economico che consentì a numerose famiglie di condurre una vita più agiata perché “U lavuru ‘nda Bonifica” permise a tanti giovani di proseguire gli studi.
Ristoro e pranzo all’interno del Vivaio a cura dell’Associazione dei “Fossatesi nel Mondo“, a seguire esposizione e vendita di prodotti tipici locali con musica e canti popolari.