La cucina tradizionale dell’Aspromonte Greco è spartana, “di montagna” ma non per questo priva di sapore e di gustose sorprese. Essa deriva direttamente dalla cultura pastorale e contadina e rispecchia i condizionamenti ambientali di questa terra aspra, dagli scorci contrastanti della montagna e del mare. I piatti tipici locali sono semplici, poveri ed aromatizzati con i sapori forti e genuini di una lunga tradizione contadina e marinara.
Ma i piatti sono anche fortemente legati alla vita religiosa e spirituale (collettiva e privata). Per esempio in occasione del Natale e dell’Epifania è usanza mettere in tavola tredici portate, mentre a Carnevale si mangiano i maccheroni , le polpette e la carne di maiale. La Pasqua si festeggia con l’arrosto d’agnello e i pani spirituali e così per le altre feste. Ogni evento della vita familiare (battesimi, nozze, lutti, etc.) si festeggia sempre con una cena a base di piatti particolari.
Sino agli anni ’60 prevalevano nella cucina tradizionale alcuni elementi base oggi non sempre reperibili. Per il pane ad esempio, accanto alla farina di grano era in uso quella di segale, di ghianda o di castagna e varie altre farine minori. Per le paste, il grano talvolta si mescolava all’orzo, alla segale, al granoturco e così via. Fra le carni, due elementi cardine erano senz’altro la capra ed il maiale.
In un’economia nella quale la pastorizia aveva un ruolo di primo piano le carni ovine e caprine avevano un ruolo alimentare altrettanto importante. In particolare la capra, più selvatica e meno grassa della pecora, è l’indiscussa carne per eccellenza della cucina arcaica aspromontana. La principale forma di cottura è quella in umido con esclusivamente la cipolla e l’alloro. Erano anche diffuse alcune forme di cottura oggi quasi scomparse. Particolarmente arcaica la capra (o la pecora) sottoterra. In una fossa si predispone un fondo di sabbia e felci. Su di esso si dispone la carne fatta a pezzi, condita con sale ed aromi e richiusa nello stomaco dell’animale. Si copre sempre con sabbia e felci e sopra si accende un fuoco per circa dieci, dodici ore. All’agnello o al capretto si riservava invece un tipo di cottura conosciuta ancora oggi in tutti i Balcani. Il procedimento si definisce “carne in tortiera”. Su un letto di braci si dispone una pentola di coccio con dentro le carni predisposte per la cottura. Sul coperchio sovrapposto si stende un ulteriore strato di braci e si lascia cuocere in una sorta di forno a cielo aperto.
L’allevamento e la trasformazione del maiale nel mondo tradizionale avevano un’importanza centrale che si mantiene tuttora molto forte nella diffusa pratica dell’allevamento domestico. La salumeria comprende tutti i possibili derivati: salsicce e soppressate, capicolli, carne in salamoia, sanguinacci. Ancora oggi, il sacrificio dell’animale si accompagna con una festa familiare, la frittolata. Si consumano così, subito dopo la macellazione, le parti deteriorabili dell’animale (cervella, fegato, polmoni, etc.) e si cuociono a fuoco lento tutte le rimanenze nella tradizionale caldaia per ricavarne cotiche e ciccioli.
Per saperne di più sulla cucina tradizionale della Calabria Greca segnaliamo il fondamentale saggio:
Salvino Nucera, “Usi alimentari dei calabrogreci” nel volume Sapori Antichi della Calabria Greca, Giuseppe Pontari Editore, Reggio Calabria, 1996